AlessandroMongili@LisandruMongile

sabato 7 agosto 2010

In ricordo di Susan Leigh Star (1954-2010)

Una versione aggiornata di questo post è visibile su alessandromongili.blog.tiscali.it
Nel momento in cui ho scritto questo post, a Bonny Doon (California) era in corso una
celebration per la vita di Susan Leigh Star (http://leighstarmemorial.wordpress.com). Questo è il mio contributo, che le offro con profonda amicizia e ammirazione, da una terra, la Sardegna, che lei ha immediatamente amato.


Ring the bells that still can ring.
Forget your perfect offering.
There is a crack in everything.
That's how the light gets in.

--Leonard Cohen, "Anthem"

Susan "Leigh" Star (1954-2010) è stata una delle più originali e innovatrici sociologhe della scienza e della tecnologia. Nonostante il suo approccio anticonformista e del tutto estraneo al mainstream sociologico (e in particolar modo al funzionalismo), il suo riconoscersi come un'interazionista simbolica e il suo rivendicare la tradizione del pragmatismo americano in filosofia, ha ricoperto prestigiosi incarichi accademici. Ha iniziato la sua carriera accademica all'University of California-Irvine, ha inoltre lavorato presso
la Graduate School of Library and Information Sciences (University of Illinois at Champaign-Urbana), 1992-1999, il Department of Communication (University of California at San Diego), 1999-2004, il Center for Science, Technology and Society della Santa Clara University(2004-2009) ed infine l'iSchool dell'University of Pittsburg (2009-2010). E' stata inoltre, in Italia, Visiting professor presso l'Università di Cagliari (2007). Leigh è stata Presidentessa (2006-2009) della Society for the Social Studies of Science (4sonline.org, la maggiore associazione di studiosi della scienza e della tecnologia al mondo, fondata da Robert K. Merton nel 1975). Negli ultimi anni della sua vita ha avuto un ruolo di sostegno e di incoraggiamento per la rete dei sociologi della tecnoscienza italiana (STS Italia), una profonda empatia per la Sardegna e una grande curiosità per la sua civiltà nuragica.

FORMAZIONE
Leigh Star arrivò alla sociologia dalla porta principale. Proveniente da una modesta famiglia del Maine, riuscì a compiere i propri studi ad Harvard grazie a una borsa di studio. In seguito divenne, insieme a Adele Clarke, un'allieva di Anselm Strauss (uno dei maggiori esponenti della Scuola di Chicago e uno dei padri della grounded theory, con cui si addottorò nel 1983) all'University of California at San Francisco. Figure importanti della sua formazione furono Howard Becker, Bruno Latour e, in qualche misura, anche Herbert Blumer. Leigh rimase sempre legatissima, anche umanamente, a questo circolo interazionista-simbolico fiorito intorno alla Baia di San Francisco. In particolare, grazie al ruolo centrale per la sua formazione di Anselm Strauss e al continuo confronto/controllo del suo lavoro da parte di Howard Becker, Leigh maturò una grande passione per gli aspetti metodologici del lavoro sociologico, per il suo rigore, per la sua radicalità scientifica, per la ricerca concettuale, perché nostro compito, diceva, è "cercare buone idee", concetti dunque. Nella sua formazione incisero sicuramente i movimenti sociali che caratterizzarono in quegli anni la California settentrionale, e in particolar modo il femminismo. Grande rilevanza ebbe per Leigh il pensiero della femminista chicana Gloria Anzaldùa, e in particolar modo il suo libro "Borderlands/La Frontera. The New Mestiza", un testo dedicato ai confini e alle identità multiple che li abitano. Importantissimo fu il suo incontro con Bruno Latour, nel corso di un suo post-doc fatto all'Ecole des Mines di Parigi nel 1988, in cui incontrò la actor-network theory e segnò la maturazione del suo prezioso apporto agli STS (science and technology studies) e, soprattutto, coincise con l'inizio del suo rapporto affettivo e intellettuale - simbiotico e profondo - con Geoffrey Bowker, uno storico della scienza anglo-australiano, con cui condivise vita e impresa intellettuale sino al suo immaturo decesso.

OPERE PRINCIPALI DI LEIGH STAR

La prima opera importante di Leigh è un lavoro di sociologia della scienza (Regions of the Mind: Brain Research and the Quest for Scientific Certainty, Stanford UP, 1989), in cui ricostruisce il problema della localizzazione delle attività mentali nel cervello. Il libro costituisce in qualche misura una prima opera sulla scienza e le porrà una serie di problemi cui cercherà di rispondere nel corso della sua carriera. Fra le altre opere rimarchevoli di Leigh occorre ricordare le curatele Ecologies of Knowledge (Albany, SUNY Press 1995) e The Cultures of Computing (Oxford: Blackwell 1995). Nel primo testo operò la giunzione fra la tradizione americana dell'interazionismo simbolico e l'actor-network theory intorno a un concetto come ecologia tecnica e quello di "attori non umani" (riferito a macchine, macchinari, software, ecc.), utili per capire quella specie particolare di "fare cose assieme" che è la tecnoscienza in cui viviamo immersi. Nel secondo (significativamente dedicato alla filosofa del cyborg Donna Haraway) presentò i lavori, per allora pionieristici, fioriti intorno agli studi sulle digital library e sui sistemi di classificazione, presso l'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign, da cui si dipartirono correnti come la social informatics e l'analisi delle infrastrutture informative che fu il campo d'indagine di Leigh, di Geof Bowker e di altri studiosi come Paul Edwards. Un tratto caratteristico del lavoro intellettuale di Leigh è stata infatti la generosità e la capacità di mettere assieme persone diverse, o comunque di costruire cose assieme. Tutti i principali filoni della sua ricerca sono però concentrati in un libro che, personalmente, ha cambiato il mio sguardo sulle cose, e che raccoglie il prezioso frutto della simbiosi umana e intellettuale fra Leigh e il suo compagno di vita, Geof Bowker: si tratta di Sorting Things Out - cioè: "mettere le cose al loro posto" -. Classification and its Consequences (Cambridge, The MIT Press, 1999). In questo testo Geof e Leigh hanno messo in rilievo il fatto che condividere classificazioni di cose (quindi, crearle, produrre standardizzazioni e quindi agirle, escludere dalle classificazioni e quindi emarginare) sia non solo umano (il titolo dell'introduzione è "To classify is human"!), ma sia un'operazione che produce realtà in forme determinate dalle forme di classificazione stesse. Cioè è una cosa assieme profondamente umana nel farsi e profondamente importante, anche talvolta pericolosa, per gli effetti che può determinare. Il libro ci porta in diversi ambiti di classificazione/standardizzazione. Dal caso della formalizzazione del lavoro delle infermiere americane, che passa per un processo di classificazione delle mansioni lavorative prima descritte in modo impressionistico alla classificazione delle persone per "razza" nel sistema dell'Apartheid in Sudafrica all'importanza in ambito medico e biomedico di questi processi, soprattutto nel campo della classificazione delle malattie e negli effetti potenti di ridefinizione delle identità nei casi delle malattie croniche (come la tubercolosi qui analizzata).
In questo testo, la cui influenza è stata profonda e che purtroppo non siamo ancora riusciti a tradurre in italiano, Leigh e Geof hanno ipotizzato che le reti di classificazioni (e di standard che le rendono operative) costituiscano delle vere griglie invisibili che formano un tessuto soggiacente rispetto alla vita sociale "visibile" (e qui devo dire che Leigh manifestò un interesse enorme per il lavoro artistico di Maria Lai, da lei definita la "più grande artista vivente", nonché per il concetto di texture usato dalla sociologa italiana Silvia Gherardi). A questi orditi e a queste trame hanno dato il nome di infrastrutture informative. Vi sono naturalmente molte altre opere di Leigh che meriterebbero di essere ricordate, e fra di esse alcuni articoli o capitoli di libri veramente importanti, fra cui scelgo qui solo l'articolo scritto assieme a Karen Ruhleder nel 1996 ("Steps Toward an Ecology of Infrastructure. Design and Access for Large Information Spaces" in Information Systems Research, 7/1, 111-134, ancora oggi un testo sempre citato da chi si occupa di infrastrutture e di intersezioni sociali), e "Power, Technology and the Phenomenology of Conventions: on Being Allergic to Onions", pubblicato nel 1991 da John Law nel suo A Sociology of Monsters? (London: Routledge). Quest'ultimo, in particolare, è un testo in cui Leigh era veramente "Leigh": in particolare quella sua capacità tutta interazionista di vedere nella vita ordinaria la presenza, normalmente invisibile, di fenomeni sociali non locali, generali, cioè il fatto che tutto quello che vediamo delle cose del mondo, anche il sistema di interazioni più banali come può essere il pranzo in famiglia o la lezione universitaria, nasconda convenzioni, strutture sociali, istituzioni culturali, cose che diamo per scontate, infrastrutture informative ecc. Iniziando dalla sua persistente e verissima (posso testimoniarlo!) allergia alle cipolle, Leigh esegue - a partire dalla difficoltà di convincere il personale di un fast-food della "normalità", per lei, di non mangiare le cipolle, e partendo proprio da questa banale esclusione dei non mangiatori di cipolle dal mondo dei fast-food - un'inversione infrastrutturale, cioè parte proprio da questo inciampo (dalla obduracy delle cose) per smontare, e raccontare, la questione della standardizzazione delle pratiche distribuite contemporanee, in tutte le loro articolazioni, e la loro trasformazione in griglie che condizionano usi locali in migliaia di mondi sociali, assicurando alle pratiche standardizzate la necessaria robustezza.

OGGETTI LIMINARI E INFRASTRUTTURE INFORMATIVE
E' però probabile che Leigh Star verrà ricordata per due idee fondamentali che hanno contribuito significativamente all'avanzamento degli STS (cioè il campo degli Science and Technology Studies che è la nostra specializzazione): il concetto della tecnologia come oggetto liminare (boundary object) e quello di "infrastruttura informativa". Insieme a James Griesemer pubblicò, infatti, nel 1989, uno degli articoli più celebri scritti sulla tecnoscienza moderna, dedicato però a una semplice schedina utilizzata per la classificazione del materiale raccolto per il Museo di Zoologia Vertebrata di Berkeley (Institutional Ecology, ‘Translations' and Boundary Objects: Amateurs and Professionals in Berkeley's Museum of Vertebrate Zoology, 1907-39, Social Studies of Science, 19, pp.387-420. L'ultimo articolo di Leigh ritorna proprio su questo concetto ed è scaricabile liberamente. Si tratta di "Ceci n'est pas un objet-frontière! Réflexions sur l'origine d'un concept", in Revue d'Anthropologie des Connaissances, 2010/1, 18-35). In questo lavoro indicò due caratteri essenziali della tecnologia a noi contemporanea. Da una parte la "robustezza" di un nucleo invisibile agli utenti ordinari, composto da dati ordinati in base a principi di classificazione e da standard, e dall'altra la "flessibilità" rispetto agli usi propri di ogni mondo sociale. “Gli oggetti liminari - scriveva - sono oggetti sia abbastanza plastici da adattarsi ai bisogni locali ed alle costrizioni imposte dalle diverse parti che li impiegano, che abbastanza robusti da mantenere un’identità comune attraverso i luoghi. Sono debolmente strutturati nell’uso comune, e diventano strutturati in modo solido nell’uso che se ne fa nei singoli luoghi. Questi oggetti possono essere astratti e concreti. Essi hanno significati diversi nei mondi sociali differenti, ma la loro struttura è abbastanza comune a più di un solo mondo da renderli riconoscibili come strumenti di traduzione” (Star e Griesemer 1989, 393). Ogni tecnologia che circoli al di fuori del mondo sociale in cui è sorta (tipicamente, in epoca contemporanea, in un ambito progettuale) è un oggetto liminare, in quanto contiene al suo interno un "nucleo robusto" fatto di numeri, di dati, di standard, di classificazioni, che gli permettono di resistere alle torsioni e agli addomesticamenti che ogni mondo sociale, ogni comunità di pratica, tenterà invariabilmente di imporgli. Leigh Star risolve così una serie di problemi importanti: da un lato riassume infiniti dibattiti sulla funzione di legame sociale degli oggetti, e, dall’altro, mantiene la loro polisemicità e plasticità come un carattere fondante, più importante della loro cristallizzazione su un solo significato. È la loro molteplice identità, allo stesso tempo “robusta” e “plastica”, a permettere loro di penetrare in mondi diversi e, dunque, di venire naturalizzati diversamente nei vari luoghi, pur mantenendo una riconoscibilità comune. È tale loro carattere a permetterne la flessibilità negli usi ma anche la funzione di raccordo fra mondi diversi, come “aggiustamenti durevoli fra comunità di pratiche” diverse (Bowker e Star 1999). In fondo, il carattere liminare è proprio di ogni oggetto, molto più della purezza e dell’ontologia.
L'altro concetto, quello di infrastruttura informativa è più legato alla sua collaborazione con Geof Bowker e altri studiosi, come Paul Edwards, ed è dedicato a quell'ibrido astratto che funge da strumento di coordinamento fra comunità di pratica (mondi locali) diversi. Si tratta precisamente di quell'insieme di classificazioni dell'esistente e, in particolare, di quelle classificazioni che assurgono al ruolo di standard e che operativizzano le conoscenze classificatorie in pratiche obbligatorie per tutti noi. Al centro dello sforzo analitico dell’approccio ecologico proprio a Leigh Star si trova proprio la comprensione del ruolo di collegamento che artefatti informativi come i database e altre raccolte ordinate di dati discreti operano rispetto a contesti eterogenei, multipli, composti da “persone, cose/oggetti, rappresentazioni precedenti, informazioni sulla propria struttura”, col fine di trasmettere in modo efficace informazioni attraverso ogni contesto coinvolto. Sicuramente, uno dei maggiori frutti del lavoro di Leigh Star, riconosciuto anche da Thévenot e da Boltanski, è stato contribuire alla tematizzazione del ruolo degli standard nella tecnoscienza e (quindi) nella vita sociale contemporanea.

Come diceva Leigh Star, sorridendo, noi sociologi spesso ci occupiamo di cose inutili e senza peso. Anzi, ne siamo appassionati e curiosi perché ci portano alle cose importanti per tutti. Ci piace svelare le cose importanti che non si vedono a occhio nudo e che si celano sotto forme banali nella vita di tutti i giorni, e che ci legano a tutti gli altri, nel bene come nel male. Ma non sempre i sociologi ci riescono come ci riusciva, e magistralmente, Leigh Star. In particolare, quando partiva dai suoi incidenti biografici. Ricostruì così, in un saggio magistrale, la nascita dell'ICD, la Classificazione internazionale delle malattie partendo dal suo terribile dolore alla schiena, rimasto indiagnosticato per gli ultimi suoi trent'anni di vita se non, in modo residuale, come "malattia rara" e che probabilmente le minò irrimediabilmente il fisico; analizzò infrastrutture informative di sistemi complessi a partire dalle proprie allergie, e tutto questo scevro da ogni narcisismo, da quel monologismo che, diceva Bachtìn, è il male della nostra epoca. In questo, Leigh è stata Maestra, ma anche un po' maga.

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